martedì 5 aprile 2016

SCACCHIERA E BANG!

L’età dell’individualità: 1929-39
Il crollo della Borsa a Wall Street nel 1929 rappresenta la prima profonda crisi del sistema produttivo della rivoluzione industriale, la quale ebbe importanti conseguenze anche in campo architettonico. Negli anni ’30 quindi, da una parte, con i CIAM, proseguono gli studi e le proposte su come impostare funzionalmente i temi della nuova società, che vanno dal tema della casa minima, a quello del quartiere, dei sistemi di urbanizzazione, dello zoning; dall’altra in Germania, si assiste all’ascesa del nazismo che, nel 1933 costringerà il Bauhaus alla chiusura. 
Nel mondo architettonico si assiste quindi all’affermarsi di due differenti correnti di pensiero e di approccio: in America, nella mostra al MOMA di New York del 1932, si afferma l’International Style che propone un’architettura non storicista, ma astratta, meccanica e asciutta. A questa si oppone il pensiero tedesco-nazista, che rivendica una certa storicità e mitizzazione del proprio passato, adottando quindi il neoclassicismo come linguaggio architettonico prevalente. Lo stesso accadde progressivamente nella Russia di Stalin o nella Roma di Mussolini. 
Gli architetti si trovarono a dover fronteggiare tale crisi, ovvero come coniugare le rivoluzionarie conquiste delle avanguardie (astrazione, dinamicità, nuovi valori etici e costruttivi) con un sentire individuale, personalizzato, radicato, quindi per forza storico. 
Le risposte a questa crisi saranno comuni a più architetti per quanto riguarda gli aspetti tecnologici, la condivisione del superamento dell’apparato decorativo ecc. Altre risposte saranno invece “diverse” in risposta a culture, sentire e situazioni diverse. 
Si afferma quindi anche il tema dell’INDIVIDUALITÀ’ sia di una cultura sia di un architetto, che, influenzato dal proprio imprinting e da altri aspetti personali, declina in modo personalizzato una serie di convincimenti comuni in architettura. Tra gli architetti più rappresentativi di questo atteggiamento vi sono Frank Lloyd Wright, americano, Alvar Aalto, finlandese e Giuseppe Terragni, italiano. 

Alvar Aalto 
Nelle opere di Alvar Aalto l’imprinting è una chiave di progetto molto frequente: l’architetto capisce infatti come combinare il mito della funzionalità macchinista con la presenza costante di una natura buona, accogliente e calma, come le foreste e i laghi della sua terra d’origine, la Finlandia.
A partire da alcune delle sue importanti opere, quali il Sanatorio antitubercolare di Paimio (1929-1933), la Villa Mairea (1938-1939) o il Padiglione finlandese all’Esposizione Internazionale di New York del 1937, si capisce come egli sia riuscito a coniugare l’innovazione dell’industrializzazione con  una sensibilità profondamente legata ad un proprio mondo, alla propria terra d’origine, quindi alla sua infanzia trascorsa con il padre agrimensore e il nonno guardia forestale. Da un punto di vista più propriamente architettonico invece, i suoi riferimenti sono le opere dello svedese Gunnar Asplund e i centri e le architetture minori dell’Italia che visita nel 1924. Il tema della curva e dell’onda (“aalto” in finlandese) ricorre in moltissimi suoi progetti: dal design di vasi, bicchieri e poltrone, all’architettura del Padiglione finlandese.

Giuseppe Terragni
Per Giuseppe Terragni la nuova architettura si deve misurare con la storia. Egli faceva parte del Gruppo 7, un gruppo di giovani neolaureati del Politecnico di Milano, tra cui vi erano anche Carlo Enrico Rava, Adalberto Libera,  Luigi Figini, Gino Pollini, Guido Frette e Sebastiano Larco, che si proponeva di rinnovare il pensiero architettonico corrente e la ricerca formale e funzionale dell'edilizia italiana attraverso l'adozione del razionalismo. 
Terragni era inoltre figlio di un impresario edile, nonché fratello di un ingegnere edile; tutto ciò gli consentì di sviluppare una grande sensibilità per l’architettura e la costruzione.
Da un punto di vista storico-artistico, l’architettura italiana si rinnova soprattutto tra il 1926 e il 1931, mediante eventi quali la Biennale di Monza del 1927, le Esposizioni di architettura razionale a Roma nel 1928 e 1931, quindi l’affermazione dell’ideologia fascista e la sua vicinanza alla Germania di Hitler. Molti degli aderenti al MIAR (Movimento italiano architettura razionale), realizzano importanti opere: la città nuova di Sabaudia (Luigi Piccinato), gli uffici postali di Roma (Adalberto Libera e Mario De Renzi) , colonie marine e montane, scuole, strutture di partito, o stazioni ferroviarie, come la stazione di Santa Maria Novella a Firenze, opera di un gruppo di neolaureati guidati da Giovanni Michelucci. 
Dopo questa prima fase, la nuova architettura si polarizza attorno a due interpretazioni, ognuna delle quali ha come riferimento una rivista: “Quadrante” e “Casabella”.
La rivista “Quadrante”, alla quale guardava Terragni, ma anche Figini, Pollini, i BBPR (Belgiojoso, Banfi, Peressutti e Rogers),  tentava di ricollocare il problema dell’architettura dentro il solo campo della ricerca estetica sottovalutando il valore sociale, tagliando ogni legame il pensiero internazionale. L’architettura era arte, e quindi estetica. Per “Casabella” invece la nuova architettura era una rivoluzione che avrebbe consentito di rompere la distinzione tra edilizia elitaria e per le masse. Per gli architetti che vi ruotavano attorno, quali Franco Albini, Marescotti, Gardella, l’architettura era una missione etica. 
Le opere più significative di Terragni vengono realizzate a Como, la città dove egli stesso trascorse l’infanzia e l’adolescenza. La città ha una doppia anima poiché è in una posizione di cerniera con l’Europa, ma vi è una viva presenza della storia, soprattutto nella sua struttura urbana, ancora dominata da un impianto cardo-decumanico di età romana. In questi stessi anni, la città gode anche dell’opera e dell’importanza di Antonio Sant’Elia, primo firmatario del manifesto dell’architettura futurista, nonché del movimento artistico Novecento, nel quale approdarono molti artisti dopo l’esperienza del Futurismo e della Metafisica (Giorgio De Chirico). Como però fu anche la base di un gruppo di pittori che, influenzati dallo stesso Terragni e Sant’Elia, rappresenta la più omogenea trasposizione in Italia delle avanguardie astratte (Cézanne, Picasso, Mondrian) che erano fiorite in quegli anni in Europa, il cosiddetto “Gruppo di Como”.
L’opera di Terragni si serve quindi sia dell’influenza di movimenti quali il Futurismo e la Metafisica (movimento e tridimensionalità) sia dell’Astrattismo (composizioni bidimensionali), risultando una sintesi perfetta tra le due. Terragni aspira, allo stesso tempo, ad un’idea di volume, quindi di prospettiva, e all’opposto ad una poetica astratta e dinamica, quindi al piano bidimensionale a-prospettico. Nel 1928 Terragni riceve l’incarico per la realizzazione della Casa del Fascio. Essa sorge su un lotto quadrato di circa 30 metri di lato, localizzato subito al di fuori delle mura della città. Il contesto quindi, sembra obbligare l’architetto ad una scelta legata alla tradizione e lontana dalla nuova architettura, ma, mediante due soluzioni, Terragni riesce a risolvere il problema. La prima soluzione, di natura spaziale, prevede l’organizzazione in pianta su tre fasce parallele. La soluzione volumetrica invece, gli consente di affrontare il rapporto con l’ambiente storico: realizza infatti un oggetto riconoscibile e noto nella storia del costruire: un mezzo cubo di circa 16 m x 32 m perfetto e bianco. Un prisma astratto, senza basamenti, elevazioni o cornicioni.

Frank Lloyd Wright
Un tema ricorrente nell’opera di Wright è l’ORIZZONTE; un’orizzonte su cui converge una visione concreta dell’architettura e della natura, ma anche un orizzonte in senso metaforico che direziona i principi e le mete dell’esistenza. Egli nasce nel 1867 e nell’arco di settant’anni realizza circa 600 opere, ognuna delle quali si può far ricadere in almeno quattro fasi. La prima fase è quella delle Prairie Houses (fino al 1909), la seconda fino al 1932, la terza, delle grandi invenzioni, fino al 1938 e l’ultima, la quarta si conclude con la sua morte nel 1959. 
Il giovanissimo Frank Lloyd Wright inizia a lavorare presso lo studio associato di Louis Sullivan e Dannar Adler, in prima fila nella ricerca di una impostazione congruente alla nuova tecnica costruttiva del cemento armato per la realizzazione di edifici alti, ovvero i grattacieli. Per Sullivan, quindi poi per Wright che nutrirà una vera e propria ammirazione per il suo maestro, la forma deve seguire la funzione (portante). Infatti, anche se Wright si occuperà principalmente di edifici residenziali e non di edifici alti commerciali, e se al senso compatto delle costruzioni di Sullivan si oppone la dilatazione di quelli di Wright, tra i due vi è una profonda connessione. Tale connessione ruota attorno a due concetti: sincerità e organicità. Mentre in Sullivan la struttura e le scelte architettoniche sono “dipendenti” l’una dall’altra, in Wright sono “interdipendenti”;  quello che in Sullivan è costituzionale, in Wright diventa organico, poiché parti strutturali e non fanno parte di un sistema unitario di creazione e articolazione. 
Contrariamente alle opere di Le Corbusier, nelle quali era presente una “griglia strutturale” data dai pilastri attorno ai quali si articola lo spazio, in quelle di Wright è presente una “GRIGLIA SPAZIALE” che definisce dimensioni, geometrie, strutture, usi e spazi. E’ giocando all’interno della griglia che si conformano gli ambienti. Così facendo egli realizza un paesaggio antropico che trova nella griglia lo strumento per farsi metodo. E’ possibile leggere nelle sue opere quello che è stato il suo imprinting, fatto di paesaggio dell’infanzia, delle arature, della valle, dell’orizzonte, nonché l’esplorazione continua di soluzioni alternative tra loro derivanti dal famoso gioco infantile delle costruzioni di Friedrich Fröbel. 
Ne deriva quindi che la vera rivoluzione delle Case della prateria non è nell’adozione di un “tipo” o un “modello”, bensì un metodo di costruzione. Nel 1909 si chiude la prima fase della vita di Wright e le sue opere inizieranno ad influenzare più di un movimento artistico e più di una personalità: Gropius, Mies, Mendelsohn e gli architetti del “De Stij”.
Dopo la fase delle Prairie Houses, negli anni Venti del ‘900 Wright costruisce molto poco; infatti, le sue uniche realizzazioni sono le ville californiane della prima parte degli anni Venti e Talisien III che ricostruisce per la terza volta dopo un nuovo incendio nel 1925. Tra il 1932 e il 1938 però, egli capisce come legare le sue conquiste spaziali ai nuovi materiali industriali, quindi estendere ancora di più il concetto di “ORGANICITA’”.
Tra il 1932 e il 1935 Wright progetta un proprio modello di città, Broadacre City, che è totalmente opposto al modello di Le Corbusier. Quest’ultimo era basato su una definizione precisa dei confini, dei volumi, del suolo, da una rigida zonizzazione. La città di Wright era invece un insieme di sistemi che vivono l’uno sull’altro e con l’altro. L’idea di base era quella di una città a bassa densità. In questo periodo inoltre, l’interesse di Wright inizia a spostarsi dalle case delle famiglie facoltose nei sobborghi, alla casa a costo moderato… quella che poi darà vita al periodo delle Usonian Houses. Nel progetto di tali residenze, la geometria spaziale di base era uno schema ad L, poiché rispondeva al meglio ad un certo grado di efficienza economica. In particolare era estendibile nel tempo, mediante un ampliamento dell’edificio lungo le sue braccia, era suddivisibile in due ambiti (notte e giorno), era spazialmente articolata nei rapporti con l’esterno, poiché definiva un ambito esterno più privato, chiuso e protettivo rispetto alla strada ed era orientabile in base all’irradiazione solare. 
Nel periodo del New Deal (1932-1939) Wright si concentra su una decisiva svolta espressiva che vede l’eliminazione progressiva di alcune “figure” tipiche delle sue architetture, così da arrivare a nuove conquiste spaziali.  Tra queste “figure” vi sono gli impianti “preconfezionati” delle sue case, la riduzione drastica di elementi iconici, quali tetti spioventi, camini e portici, delle partiture decorative. Un edificio chiave di questo periodo è il Johnson Wax di Racine, nel Wisconsin, del 1936. Alla stregua del Larkin Building a Buffalo, il Johnson Wax è un edificio per uffici, il quale però diviene una comunità vivente, pulsante e in evoluzione. Wright in questo caso non adotta un impianto simmetrico, ma un movimento dei volumi libero e fluente. Svetta infatti un’alta torre di laboratori, in basso una grande sala per il lavoro illuminata dall’alto, alla quale si agganciano in copertura dei volumi che ospitano gli uffici. Tra le invenzioni di Wright in questo edificio vi sono poi i cosiddetti pilastri-albero, dendriformi, che sorreggono la sala e che, eliminando l’idea stessa di solaio, permettono alla luce zenitale di entrare nell’edificio. L’uso del mattone viene liberato dalla sua funzione portante e diviene pura tessitura, colore. La torre è realizzata in pirite, un impasto vetroso ad alta resistenza termica, che non consente di vedere fuori ma di filtrare la luce. Il dettaglio, in quest’opera, è organismo. 

LA CASA SULLA CASCATA - FALLINGWATER -
L’esposizione del plastico di Brodeacre City nei Magazzini Kaufmann a Pittsburgh diventa l’occasione di un nuovo incarico per Wright, il quale dovrà realizzare una casa per il week-end per Edgar Kaufmann, il proprietario degli omonimi magazzini, nella sua proprietà a Bear Run, nella  foresta della Pennsylvania occidentale. Ciò che contraddistingue quest’opera è un incredibile senso di rigenerazione, che avviene a seguito della stesura, da parte di Wright, della sua autobiografia, che gli consente di mettere a punto tutto il suo “passato architettonico” e ricominciare. 
Vi è innanzitutto l’abbandono della griglia spaziale come sistema di controllo sia dimensionale sia costruttivo; al suo posto Wright traccia ogni tre metri una linea ortogonale alla roccia e al flusso del ruscello e una linea ad essa ortogonale. Si formano così cinque campate, o baie, nella direzione nord-sud e una nella direzione est-ovest che determinano la struttura dell’organismo. Al sistema delle campate si sovrappone poi quello di una serie di scalettamenti successivi che aggrappa l’edificio alla roccia. Gli spazi interni sono suddivisi in spazi serventi e serviti; i primi posti nella parte retrostante della casa, mentre i secondi affacciato sull’acqua, sulla cascata…come se questa sgorgasse proprio dall’edificio. Le baie, come tronchi, sorreggono un sistema di “cassetti” a sbalzo, le terrazze, che muovendosi ortogonalmente uno sull’altro slanciano l’opera verso l’esterno. I volumi esplodono nello spazio. Nonostante l’abbandono della griglia spaziale, nell’opera ritornano comunque i temi tipici delle case della prateria e quelli della libertà spaziale organica, quelli della concezione interdipendente della struttura e del riempimento, quelli delle concezione di un centro propulsore, inteso in questo caso come il camino. Fallingwater è concepita come un grande organismo vivente, un grande albero, in cui il fusto, ovvero le strutture verticali, sono in pietra grigia, mentre i rami, ovvero i piani orizzontali, sono in cemento color ocra, e sono liberi di fluttuare nella natura e per relazionarsi con essa; infine, gli infissi, come vene che innervano l’intero sistema, sono in alluminio rosso. La natura di Wright è però, in questa uova fase, concepita dall’uomo stesso, che ne fa parte, ma ad un alto grado di complessità. Fallingwater è quindi un autoritratto del suo ideatore.